Intervista a Patrizia

OinO - C’è qualcosa che vorresti veder nascere al posto dei giardini di Via Confalonieri e della Stecca?

Patrizia - Al posto... niente, al posto, niente. Come l’immagino io? Una struttura e i giardini bonificati, con dei servizi che sono un fatto di sopravvivenza personale del quartiere, anche nell’immediato. La Stecca così com’è fa schifo, ma è lo spazio essenziale, una volta pensata, immaginata con un po’ di fantasia; ristrutturata, è uno spazio ideale, perché è all’interno dei giardini, è a metà di un percorso, divide come una sorta di costola l’antico e il nuovo.

OinO - Hai una tua idea per migliorare il quartiere Isola, partendo dai giardini e dalla Stecca?

P - Io lo vedo come un tutt’uno, questo è uno degli spazi, dei tanti spazi. Io lotto anche per una consapevolezza del quartiere. E’ un po’ una scommessa dell’essere insieme in maniera umana. Quando arrivano delle persone nuove dagli altri quartieri, ho proprio visto che devono essere rieducate al sociale. Io abito in una casa di ballatoio, non è di ringhiera, è una cosa un po’ più chic dell’epoca, però il concetto è quello, e vedo proprio la differenza tra chi ci ha abitato ed ha la consapevolezza di una prossimità differente e chi arriva con buona volontà ma è impacciatissimo nel salutare e nel condividere lo spazio. Quindi è un processo di rieducazione, io lo vedo in questo quartiere come una possibilità rieducativa dell’anima di cittadino per tantissime persone, ecco perché questo spazio non si può scindere dal resto del quartiere.

OinO - Rappresenta un po’ il simbolo, il cuore del quartiere?

P - Io lo vedo come un’opportunità perché il cuore venga riscoperto, perché ci sia una consapevolezza di tutti. E’ occasionalmente il cuore perché il cuore siamo noi. Come pochi intimi architetti sanno, quando tu crei degli spazi fai anche dei condizionamenti dello stare, dell’essere, per cui cambiare degli spazi all’interno del quartiere significa cambiare proprio l’essere del quartiere, così anche in questo spazio, quando diventerà diverso, non ha importanza se sarà più bello o più brutto, ma se si dovesse cambiare sostanzialmente succederà altro. E poi vedremo…

OinO - Sei ottimista, pensi che in futuro l’Isola potrà mantenere questa caratteristica di quartiere, appunto, e non di periferia?

P - Brera, per esempio, non ha più un’identità sua ma una che le è stata costruita; così hanno distrutto l’identità di Brera, adesso è commerciale, di facciata, tanto è vero che sta perdendo di significato, chissà come mai… E’ chiaro che se c’è un significato le persone che arrivano lo vedono, lo percepiscono, lo toccano, lo annusano, altrimenti è una vetrina, che può essere più o meno bella, però è una vetrina, non è un contenuto, è un contenitore. Quindi per adesso questo quartiere ha un’identità, anche se si è molto modificato nel tessuto abitativo. Non ci sono più gli operai, o ce ne sono pochi, perché questo era un quartiere fortemente operaio; è stato il primo insediamento industriale di Milano, aveva quindi una forte identità. Naturalmente intorno alle fabbriche sono nate le case di ringhiera, vissute dagli operai e dagli artigiani, che servivano di conseguenza l’indotto. Questa è la sua natura, poi l’aspetto malavitoso, ecc., ecc., lascia un po’ il tempo che trova.

OinO - Se ho ben capito rappresenta un po’ la “vecchia Milano”, quella che cantava Milva, per intenderci?

P - Per quanto mi riguarda, la Milva può andare a cagare (ride). Il popolo non ha mai voluto cantare “Ma mi, ma mi”, andava all’Opera per emanciparsi, quindi quelli sono i soliti “radical chic”, che spero arrivino il meno possibile, perché spero possano arrivare persone acculturate che sono diverse dall’operaio, ma che hanno il cuore. Qui si spera che arrivino “le persone” e per ora le nuove arrivate sono quelle col cuore e con la voglia di avere un’alternativa alla massificazione, alla globalizzazione...one...one…

OinO - Persone che qui sicuramente non vogliono una periferia…

P - Qui cercano il paese, il rapporto umano, questo cercano. Perciò è questo che bisogna mantenere, indipendentemente da chi ci abita. Sarà diverso da quello che era 50 anni fa, ma è ovvio, è già diverso, ci sono anche negozi nuovi, però se arrivano persone che hanno voglia di fare questa cosa…lo sto notando, perché sono molto attenta, sensibile, anche pruriginosa, sui nuovi arrivi, ma mi sembra che stiano arrivando delle persone che non vogliono stravolgere, anzi vogliono mantenere. Sarà diverso, certo, a me piace che questo terreno sia bonificato, mi piacciono gli alberi fatti bene, la pulizia, togliere le scritte sui muri, che veramente sono insignificanti, però tutto questo su un quartiere dal tessuto vivo. Se mi diventa l’ennesimo spazio di divertimento lo combatto! Combatto sia per questi spazi, sia per l’identità del quartiere perché sono congiunti gli uni agli altri.

OinO - E le promesse intorno all’Isola, le promesse di bonifica, la “Città della Moda”, come le vedi?

P - Quelle sono minacce, sono minacce! Il confronto che è avvenuto tra le associazioni, qualunque sia la proprietà o gli interessi, ha messo in discussione…se tu senti adesso la comunicazione che fanno sulla “Città della Moda” ti accorgi che hanno cercato di sostanziarla. Temo che non abbiano le capacità intellettuali per farlo, però. Comunque il confronto con i cittadini del quartiere ha cambiato già qualcosa perché se senti parlare la proprietà capisci che vuole rapporti con il Politecnico, vuole rapporti con la cultura ufficiale. Non hanno ancora fatto il salto di qualità con i cittadini (ride) perché pensano sempre che i cittadini siano una massa in forma “amebica” e possibilmente ignorante. Le promesse delle minacce sono per il momento, si tratta ora di trasformarle in promesse.

OinO - Hai fiducia che la mobilitazione degli abitanti possa produrre questi effetti o temi che le lusinghe del potere possano avere la meglio sulla vostra volontà di cittadini?

P - La mobilitazione è la condizione senza la quale non si può nemmeno pensare di sperare di ottenere qualcosa, è fondamentale. Dopo di che…Io sono una persona molto particolare perché non ho prezzo e penso che ci siano altre persone come me che non hanno prezzo, si tratta di metterle insieme. Finora alcuni di noi ci sono riusciti, alcuni a latere hanno dei prezzi. Però sono stati un po’ espulsi come bubboni e si stanno coagulando le persone che non hanno prezzo.

OinO - Pensi che il potere potrà far leva su questi prezzi e qual’è, in definitiva, il pericolo più grosso rispetto alle promesse o ai desideri degli abitanti dell’Isola?

P - Un rischio grosso è che ci siano effettivamente questi prezzi appetibili per alcune persone, come d’altra parte succede, ma mi sembra che questo per ora non avvenga, poi se avverà…

OinO - Prospettaci la cosa migliore e la peggiore...

P - La migliore è che si ottenga quello che vogliamo, che si freni la trasformazione del quartiere. Il quartiere deve essere un simbolo per un’alternativa allo sviluppo della città, una possibilità di vivere in dimensione umana, non che questo voglia dire “retrò”. Può anche essere un modello esportabile, questo è il nostro gioco. Lo stare insieme, l’essere pacificati, l’essere a casa quando scendi dal tram o metti la macchina nel box e sei già fuori casa tua, ed è una condizione, secondo me, possibile, già avviene. Per cui può essere anche un modello, perché no? Perché sei più felice qui che non in un altro quartiere? Questa è la domanda che si dovrebbero porre gli amministratori “perché i cittadini stanno bene lì e non stanno bene da un’altra parte?”, gli architetti, la comunità scientifica intellettuale e paludata dovrebbero porsi questo problema.

OinO - Perché fate questa resistenza?

P - C’è questa resistenza, che non è motivata dal “no” o dal “sì”, ma dal “no, però” o dal “sì, ma”, e che quindi non è un no, muro contro muro. Per cui questo è un atteggiamento imbecille da parte dell’amministrazione, perché noi non siamo persone aliene venute giù da Marte, ma forse ci siamo semplicemente abituate a vivere in una situazione irrinunciabile, perché l’alternativa è una schifezza, ma non per un discorso né pasionario né nostalgico, né radical chic, per quanto mi riguarda. La cosa migliore è mantenere un equilibrio, una possibilità di situazione mista che consenta qualsiasi possibilità: che uno sia artigiano, negoziante, dedito al divertimento piuttosto che alla famiglia, questo “misto” che porta a degli equilibri magici, se tolgo uno, tolgo l’altro, il quartiere diventa un quartiere dedicato. E la cosa peggiore è il quartiere dedicato, per quanto mi riguarda. Non sono tanto i palazzi, anche se io non rinuncio sicuramente al verde, però mi spaventa meno un palazzo in più che una massificazione, un’idea, che non è neanche un’idea, ma un progetto balordo, che puoi trovare a Calcutta piuttosto che a New York, piuttosto che altrove. Dopodichè ti svegli ed è come essere negli alberghi dell’Hilton, ti svegli e dici “ma dove cazzo sono, a Bari o a Perugia o a Roma?” E non lo sai perché se ti svegli la mattina rintronato perdi la cognizione, che è la condizione senza la quale un essere umano non riesce a progettare neanche il suo futuro. Ma dove lo progetti il tuo futuro, nell’abito dei tuoi 40 mq?

OinO - Al Bosco di Gioia è successo che le associazioni, il quartiere, Lega Ambiente hanno tentato di ribellarsi ai progetti comunali, però hanno perso. Credi che ciò che è rimasto nella memoria è la lotta di queste persone oppure l’onnipotenza del potere?

P - A me questo fatto non mi ha spostato di una virgola, e mi spiego…dato che la lotta la stiamo facendo anche noi non si può dire esaurita, anzi. Quel bosco è stato solo tagliato, di fatto, ma è ancora sotto ricorso. La perdita della popolazione è stata la perdita di un comitato che non ha ragionato sulle cose perché quel progetto, cioè di non costruire, lo stiamo portando avanti noi.

OinO - Comunque vadano le cose in futuro questo tipo di lotta rimarrà un precedente di consapevolezza, non ti pare?

P - Ma è irrinunciabile! Nel limite del possibile uno cerca di non farsi progettare la vita, anche se siamo tutti condizionati. Tutti scelgono per gli altri, dalla famiglia in poi, c’è qualche scelta nella vita che uno può fare, dicendo che sono scelte. Io di scelte personali in tutta la mia vita ne ho fatte tre e ho quasi 60 anni, le altre sono stare indotte dalla situazione, dalle cose, ma nelle vere scelte, quelle che creano il cambiamento, è l’autodeterminazione che dice “adesso faccio questo, in barba a tutti, per questo motivo, con la piena consapevolezza”. Io l’ho sempre detto, se vinciamo è la felicità assoluta, se perdiamo, ci siamo almeno conosciuti, vale sempre la pena. Poi personalmente penso che possiamo anche vincere.

OinO - A Milano ci sono dei precedenti così?

P - Così no, così no. E’ un momento unico, anche perché si sta lottando mettendo insieme le realtà; qui tutto sommato si sta creando un comitato di quartiere vero. Ma il comitato è riduttivo rispetto alle problematiche di un quartiere perché ci sono tante cose su cui lavorare e anche quando avessimo vinto, hai voglia di quello che devi cambiare ancora!

OinO - Come vedi la partecipazione a questa festa del 10 giugno ai giardini?

P - Io sono contenta, tanto per cominciare che ci siano più persone che stanno facendo la stessa esperienza insieme, cosa che è abbastanza difficile. Il mercatino, ad esempio, è una cosa differente, è sempre un discorso interessantissimo, però è sempre legato al fatto che si va a comperare, ecc., ecc. Questo è un aspetto aggregativo differente, che ha un suo significato importantissimo: siamo qui, insieme, stiamo sbattendoci notevolmente, ma l’abbiamo fatto insieme, abbiamo pensato il documento insieme, abbiamo scelto insieme questa cosa.

OinO - Sei riuscita a trovare molti consensi?

P - Vedo la differenza da quando ho cominciato quattro o cinque anni fa. Adesso la gente è più consapevole. Io trovo mitico il fatto che siamo insieme il “Comitato dei Mille”, “Associazione Genitori” e “Isola dell’Arte” a creare questo Forum. E’ un fatto storico! Invece di fiaccarci, dopo quattro anni abbiamo fatto un salto di qualità, cosa vuoi di più dalla vita. E allora si vince, secondo me non c’è dubbio, io sono ottimista!